domenica 12 luglio 2009

D13

Ciao, M o F?
Le dita erano scivolate rapide sulla tastiera. Fabrizio attendeva una risposta. Una sera come tante in chat, non si batte chiodo per ore, poi… D13: presenza nuova, interessante, simpatica… si spera anche del sesso giusto!
-Allora, D13, ci 6? M o F?
-C sono, c sono… è importante se sono M o F?

Ma che domanda era?

-Sì, ke è importante!
-Diciamo ke è importante x te…
-Sì, esatto.
-OOKK… allora, direi che per te sono F.

Fabrizio iniziava a non capirci molto. Era qualcuno che voleva sfotterlo? Uno dei tanti fake di merda che per prenderti per il culo si finge una ragazza?
Fu tentato di mollare tutto, e di spegnere il computer. Poi decise di continuare. Voleva venire a capo del piccolo mistero, dopotutto.

-Rinnovo i saluti: ciao! Ke fai di bello da queste parti?
-Devo proprio dirtelo? Ti cercavo!
-Come, mi cercavi? Ma… ti conosco?
-Credo sia più esatto dire ke io conosco te, Fabri.

Esitò. Nessuno, nella chat, sapeva il suo vero nome. L’unica ragazza che era riuscito a contattare, e con la quale era uscito, era stata Angela. Ma le cose non erano girate per il verso giusto e avevano litigato. Mai più rivista, e lei non aveva più frequentato la chat.

-Senti, non mi piace più. Bye.

Scollegò l’adsl, spense il computer e si alzò dalla sedia. Stava per uscire dalla stanza, quando con uno sfrigolio il pc si riaccese.
Si girò.
Di nuovo connesso. Si avvicinò per leggere.

-6 stato una carogna con Angela. Era una brava ragazza. Il giorno dopo il vostro appuntamento ha fatto un incidente, e io l’ho presa. Anche tu avresti dovuto essere con lei... ma avevate litigato. Avrei dovuto prendere anche te. 'Sto kazzo di libero arbitrio.
Era buona, Angela. Non voleva dirmi il tuo nick. Ma poi ti ha visto chattare di nuovo. Con tutte. Così ha parlato. E ora ti ho trovato.

L'occhio gli cadde per un attimo sulla scatola dei tarocchi che aveva trovato tanti anni prima nella confezione speciale di un panettone. All’improvviso, fu il buio. Una morsa fredda al cuore.
Allora Fabrizio capì.

sabato 16 maggio 2009

Il gatto.

Ciao, maschio o femmina? La frase le ronzava ancora nella testa, come una zanzara importuna in una notte estiva. Tanta confidenza con delle signore come loro, proprio non era quello il modo di parlare! Dopo un sorriso forzato aveva accettato dalle mani unticce del ragazzino (quanto poteva avere? dodici anni? tredici?) la targhetta prestampata con la lettera M da applicare alla gabbia, e aveva scritto, con la mano tremula solcata da oceani in tempesta di rughe e vene, le brevi parole “Mr Mew” nello spazio destinato al nome.

-Questi ragazzini moderni… che modi!
-Hai ragione, Ada…e pensare che fino a due anni fa c’era quel caro Mr Sohenson! Così educato e rispettoso…Chissà che fine ha fatto!
-Aveva 98 anni, Ines cara, può darsi il caso che sia morto.
-Non credo sia stato sostituito per così poco. Dev’esserci stato di mezzo qualche scandalo.
-Non importa, cara. Dobbiamo affrettarci!
Le sorelle Marshall, 173 anni in due, si avviarono per i lunghi corridoi dell’esposizione felina. Mai avrebbero rinunciato a portarvi il loro beniamino, Mr Mew. Scivolarono tra le pareti immacolate adorne di foto di atleti muscolosi, di cani uggiolanti e di mici sornioni.
Immobile nel suo mezzo di trasporto, Mr. Mew era sontuosamente grosso. Il pelo lucido, grigio ardesia e lunghissimo, gli conferiva un aspetto regale. Era la gioia delle sorelle Marshall. Il loro adorabile tesoro.
Entrarono nell’area espositiva, tra viuzze di gabbie miagolanti, sotto gli sguardi vagamente incuriositi delle famigliole e degli altri partecipanti. Uno degli organizzatori, Mr. Theodore Bumble, si fece loro incontro con un sorriso fasullo sotto i baffi stirati e arricciati ad arte.

-Miss Ada, Miss Ines, che piacere! Anche quest’anno con noi!
-Caaaaro Mr. Bumble… che piacere rivederla! Ma certo che siamo qui anche quest’anno!
-E… chi ci avete portato? - Mr. Bumble esitò un secondo, poi riprese, quasi timoroso di porre quella domanda. -Non… Non sarà Mr Mew, vero?
-Ma certo, certo che è Mr Mew!
-Ma care signore…
-Signorine, prego!
-…Care signorine, ve l’ho già detto l’anno scorso... Mr Mew non può partecipare!
-Ma perché?

Mr Bumble era quantomeno imbarazzato.

-Ma… Ma perché è morto! E’ morto da 2 anni, e l’avete imbalsamato!
-Sciocchezze! E’ sempre un bellissimo gatto!
-Forse, ma è un bellissimo gatto morto… e qui accettiamo solo quelli vivi!
-Ma insomma, - sbottò Ines – anche quest’anno vorreste farci il dispetto di non farlo partecipare solo per questo motivo?

Ada era furente. Si erse in tutto il suo metro e cinquantacinque di rughe tremebonde e con voce incrinata da lacrime di rabbia inveì contro il povero Mr. Bumble, puntandogli contro l’ossuto indice accusatorio.

-Mai, mai mi sarei aspettata un simile atteggiamento discriminatorio da parte sua! Forza Ines, andiamocene! Mr Mew non merita di restare un momento di più in questo covo di reprobi!

E nessuno si accorse del suono, come un miagolio di scherno, che uscì dalla gabbia di Mr Mew.

sabato 6 dicembre 2008

Nebbia.

Sola sul piazzale dell'isola di San Giorgio Maggiore, Veronica aspettava un vaporetto che non arrivava. L'isola era avvolta nella notte; la nebbia, fittissima, era calata come un velluto grigio su Venezia nel primo pomeriggio. Era una cortina impenetrabile e fredda, che malvolentieri faceva trapelare uggiosamente la luce dei lampioni dell'imbarcadero. "Sono dispersa nel nulla", pensò. La nebbia le impediva di scorgere le luci di piazza San Marco, cosicché l'intera isola pareva sospesa in un mare di ovatta cinerea.
Nel silenzio irreale, la risacca del mare, sciaguattante sui gradini di marmo del piazzale, si univa ai cigolii del pontile in uno stranamente lugubre concerto.
In altre occasioni si era sentita protetta, quasi rassicurata, dalla nebbia invernale. Le era sembrata un'amorevole coperta che coprisse pensieri e brutture. Quella sera, invece, Veronica era inquieta, quasi che ci fosse qualcosa di sbagliato nella trama di minute goccioline sospese nell'aria. Salutò quindi con un moto interiore di silenziosa gratitudine il rumore del vaporetto che si avvicinava, così come i suoi occhi gioirono nel veder trapelare le luci rosse e verdi dell'imbarcazione che si facevano strada nella cortina marmorea.
Il marinaio che attraccò il battello al pontile era magro e alto; con mani ossute rivestite da guanti neri gettò con gesto sicuro una cima oltre l'appiglio metallico. Le sbarre d'apertura scorsero nelle loro guide stridendo, e Veronica si precipitò sul ponte del battello, ansiosa di lasciare l'isola, la nebbia e le sue inquietudini, ansiosa perfino di rituffarsi nel caotico mare di turisti che affollava piazza San Marco e che di norma tendeva accuratamente ad evitare.
Impiegò alcuni momenti per capire che la sua inquietudine non scompariva, senza d'altronde intenderne la ragione.
Poi, ad un tratto, comprese, e guardò oltre le sponde del vaporetto. Davanti a lei, San Marco continuava ad essere invisibile, totalmente occultata nella nebbia; dietro di lei, la stessa cortina le impediva di vedere l'isola da cui era appena partita.
Attorno, un mare nero ed immobile la circondava, racchiuso tra le mura plumbee di quella nebbia che sembrava fatta di carne.
Sul vaporetto, nessun altro passeggero oltre lei; il marinaio aveva raggiunto il conducente nella cabina di pilotaggio.
Si rese conto d'un tratto di essere, in quel momento, sola e sperduta in mezzo al nulla.
La cortina di fronte a lei pulsava e si muoveva, quasi fosse una creatura vivente. Luci ed ombre creavano sulla sua superficie bizzarre ed inquietanti immagini: mani molli e allo stesso tempo scheletriche, esseri curvi che la guardavano da dietro le spalle bestiali.
Ad un tratto le sembrò di vedere un volto, indefinito, appena abbozzato. Somigliava ad un volto di bimbo, ma dai lineamenti appena accennati, quasi gli fossero stati limati via.
Meglio ancora, sembrava un volto spinto con forza contro un telo teso.
Lo orbite vuote, il naso appena accennato, la bocca minuscola che si apriva, lentamente, in un muto grido d'orrore, mentre lo sguardo diveniva sempre più carico di dolore e paura... Le lacrime le salirono agli occhi e una lama le lacerò il cuore, mentre alla mente martoriata affioravano i pensieri dei giorni tristi e del suo bimbo mai nato. Il muro di goccioline si deformò, per formare altri due, dieci, mille volti simili, alcuni non più grossi di una nocciola, altri appena più piccoli del suo pugno. Tutti avevano la stessa espressione d'orrore, tutti sembravano simili l'uno all'altro. Quando il loro urlo silenzioso e orrendo divenne insopportabile, Veronica urlò a sua volta. Il marinaio uscì dalla cabina con uno sguardo stolido e vitreo.
La cortina di nebbia si diradò, per lasciar intravedere le luci di San Marco.