sabato 6 dicembre 2008

Nebbia.

Sola sul piazzale dell'isola di San Giorgio Maggiore, Veronica aspettava un vaporetto che non arrivava. L'isola era avvolta nella notte; la nebbia, fittissima, era calata come un velluto grigio su Venezia nel primo pomeriggio. Era una cortina impenetrabile e fredda, che malvolentieri faceva trapelare uggiosamente la luce dei lampioni dell'imbarcadero. "Sono dispersa nel nulla", pensò. La nebbia le impediva di scorgere le luci di piazza San Marco, cosicché l'intera isola pareva sospesa in un mare di ovatta cinerea.
Nel silenzio irreale, la risacca del mare, sciaguattante sui gradini di marmo del piazzale, si univa ai cigolii del pontile in uno stranamente lugubre concerto.
In altre occasioni si era sentita protetta, quasi rassicurata, dalla nebbia invernale. Le era sembrata un'amorevole coperta che coprisse pensieri e brutture. Quella sera, invece, Veronica era inquieta, quasi che ci fosse qualcosa di sbagliato nella trama di minute goccioline sospese nell'aria. Salutò quindi con un moto interiore di silenziosa gratitudine il rumore del vaporetto che si avvicinava, così come i suoi occhi gioirono nel veder trapelare le luci rosse e verdi dell'imbarcazione che si facevano strada nella cortina marmorea.
Il marinaio che attraccò il battello al pontile era magro e alto; con mani ossute rivestite da guanti neri gettò con gesto sicuro una cima oltre l'appiglio metallico. Le sbarre d'apertura scorsero nelle loro guide stridendo, e Veronica si precipitò sul ponte del battello, ansiosa di lasciare l'isola, la nebbia e le sue inquietudini, ansiosa perfino di rituffarsi nel caotico mare di turisti che affollava piazza San Marco e che di norma tendeva accuratamente ad evitare.
Impiegò alcuni momenti per capire che la sua inquietudine non scompariva, senza d'altronde intenderne la ragione.
Poi, ad un tratto, comprese, e guardò oltre le sponde del vaporetto. Davanti a lei, San Marco continuava ad essere invisibile, totalmente occultata nella nebbia; dietro di lei, la stessa cortina le impediva di vedere l'isola da cui era appena partita.
Attorno, un mare nero ed immobile la circondava, racchiuso tra le mura plumbee di quella nebbia che sembrava fatta di carne.
Sul vaporetto, nessun altro passeggero oltre lei; il marinaio aveva raggiunto il conducente nella cabina di pilotaggio.
Si rese conto d'un tratto di essere, in quel momento, sola e sperduta in mezzo al nulla.
La cortina di fronte a lei pulsava e si muoveva, quasi fosse una creatura vivente. Luci ed ombre creavano sulla sua superficie bizzarre ed inquietanti immagini: mani molli e allo stesso tempo scheletriche, esseri curvi che la guardavano da dietro le spalle bestiali.
Ad un tratto le sembrò di vedere un volto, indefinito, appena abbozzato. Somigliava ad un volto di bimbo, ma dai lineamenti appena accennati, quasi gli fossero stati limati via.
Meglio ancora, sembrava un volto spinto con forza contro un telo teso.
Lo orbite vuote, il naso appena accennato, la bocca minuscola che si apriva, lentamente, in un muto grido d'orrore, mentre lo sguardo diveniva sempre più carico di dolore e paura... Le lacrime le salirono agli occhi e una lama le lacerò il cuore, mentre alla mente martoriata affioravano i pensieri dei giorni tristi e del suo bimbo mai nato. Il muro di goccioline si deformò, per formare altri due, dieci, mille volti simili, alcuni non più grossi di una nocciola, altri appena più piccoli del suo pugno. Tutti avevano la stessa espressione d'orrore, tutti sembravano simili l'uno all'altro. Quando il loro urlo silenzioso e orrendo divenne insopportabile, Veronica urlò a sua volta. Il marinaio uscì dalla cabina con uno sguardo stolido e vitreo.
La cortina di nebbia si diradò, per lasciar intravedere le luci di San Marco.

Nessun commento: